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Crescere: esperienze formative tra rischio educativo e pericolo

crescere lungo

Vivere comporta sempre un certo rischio; e tanto più si è vivi tanto maggiore è il rischio
Ibsen

Come esprime bene Ibsen, il “rischio” è un fattore naturalmente insito nella vita della persona, al punto che un’esistenza è tanto più ricca quanto più una persona è stata capace di mettersi in gioco nell’arco della vita stessa. Ecco che si evidenzia allora, nel panorama attuale, un paradosso: i bambini, che sono i primi soggetti verso i quali vengono messe in atto delle azioni educative (da parte di famiglia e educatori), sono anche gli stessi verso i quali negli ultimi anni l’esperienza del rischio è stata gradualmente preclusa. Negli ultimi anni, ossia, i bambini sono spariti dalle strade e sono stati progressivamente chiusi dentro le case; la motivazione che ha spinto verso questa condizione è stata la ricerca spasmodica della sicurezza e della protezione da parte dell’adulto.
Il tema trasversale che sta alla base di questa situazione, è la percezione del rischio: spesso l’ansia dell’adulto limita le esperienze all’esterno, perché percepisce la “sicurezza” del bambino come minacciata dallo stare fuori.
Al giorno d’oggi, infatti, per l’adulto pare più difficile che in passato pensare che i bambini possano crescere anche attraversando i rischi connaturati ad ogni fenomeno evolutivo, perché il rischio viene demonizzato in nome di un modello iperprotettivo, falsamente rassicurante e che, proprio per questo, vede il rischio come esterno ad ogni prospettiva di crescita normale, uno stato di pericolo, di per sé e sempre deleterio, da evitare.
Al centro di tale visione sta proprio la parola rischio, che viene impoverita perché piegata ad una sola delle sue definizioni, nonché privata di quegli aggettivi che sono capaci invece di aprire la prospettiva sull’orizzonte delle possibilità, aggettivi come temerario, incerto, ardito, dubbioso, avventuroso che evocano il provare, il cimentarsi, lo sfidare, il giocare, funzioni così caratteristiche dell’età evolutiva.
La cultura dell’apprensione e il concetto di sicurezza, con tutte le sue interpretazioni e contraddizioni, permeano e limitano fortemente non solo la vita familiare ma anche i servizi per l’infanzia, deprivando i bambini di esperienze necessarie e impoverendo le opportunità formative. Non solo il movimento è penalizzato, ma anche la possibilità per i bambini di utilizzare oggetti naturali o di uso comune, in quanto questi oggetti (rami, conchiglie, nastri, tappi, tubi di cartone…) non hanno il marchio di qualità.
È invece nel gioco, nell’assunzione di piccoli rischi, nel superamento di prove auto indotte, secondo i propri tempi e i propri interessi, che si sviluppano davvero la crescita sana, l’autostima, la sicurezza, la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, il piacere della conquista e il senso positivo della vita.
Piuttosto che negare il problema, allora, si propone di mettere in atto accorgimenti e strategie pertinenti rispetto all’esperienza che si vuole svolgere all’esterno, perché l’educazione al rischio non è incompatibile con la sicurezza. Occorre però che il diritto al rischio quale “valido alleato dei processi educativi e formativi” venga considerato dai diversi soggetti coinvolti e dalle diverse figure professionali che si occupano di sicurezza e di educazione, condividendo responsabilità e conoscenze, trovando mediazioni e normative che tengano insieme sicurezza e opportunità educative di senso.

Tutti gli adulti dovrebbero riflettere sul fatto che il modo migliore per sviluppare prevenzione è educare il bambino a conoscere per diretta esperienza l’ambiente in cui vive, nelle sue dimensioni più naturali, sviluppando così gli “anticorpi formativi” che gli consentono di imparare ad affrontare le difficoltà, a correre qualche rischio conoscendo le proprie capacità.
A differenza del pericolo che è un dato “oggettivo” e viene dall’esterno, il rischio che si corre è una sfida legata al desiderio di mettersi alla prova, alla dimensione dell’incertezza e imprevedibilità, all’affermazione del proprio protagonismo. Certamente non si può educare al rischio insegnandolo: occorre incontrarlo, conoscerlo e superarlo.
Per dare sostegno a queste tematiche è nata la Pedagogia del rischio: essa sostiene che i bambini hanno il diritto di crescere in una realtà che non sia virtuale né artefatta; piuttosto si deve educare al rischio attraverso la conoscenza diretta e l’esperienza autentica determinata da esplorazioni, scoperte, sperimentazioni, dal momento che il rischio è implicito nel concetto stesso di vita. La pedagogia del rischio riconosce il valore formativo a esperienze che incontrano il limite, la fatica, la sconfitta e talvolta anche il dolore, elementi costitutivi della nostra umanità.
Si parla di scoperta, indagine e problematizzazione del mondo “entrando nella vita” attraverso eventi e situazioni che sollecitano curiosità, domande e mettono in gioco mente e corpo: emozioni, sensazioni, percezioni, creatività, capacità e limiti fisici.
Tutto ciò favorisce l’acquisizione di un’immagine realistica di sé e delle proprie potenzialità, in relazione non solo al rischio fisico (la possibilità di farsi male) ma anche al rischio cognitivo ed emotivo (la possibilità di sbagliare, di trasgredire, di entrare in conflitto, di affrontare il cambiamento).
É necessario allora coinvolgere le famiglie sui temi della protezione e della sicurezza, sulla differenza tra educazione al rischio e prevenzione dei pericoli, su come atteggiamenti eccessivamente limitanti nei primi anni di vita lascino una impronta “passivizzante” nell’adulto di domani. É necessario anche uscire dalle palestre per entrare nella vita reale, dove poter camminare su terreni scoscesi, salire e scendere le scale, arrampicarsi sugli alberi, o dondolarsi attaccandosi a un grosso ramo basso.
Si può tranquillizzare l’adulto sul fatto che il bambino non è portato di per sé a farsi male o a crearsi consapevolmente delle situazioni pericolose: il rischio che affronta è sempre proporzionato alle sue capacità e possibilità e lo affronta perché è necessario al suo piacere. Al contrario nelle nostre culture, sempre più virtuali e seduttive, si rischia di limitare le esperienze di esplorazione dell’ambiente a favore dell’aspetto simbolico e astratto. Il pericolo sta dunque nel perdere di vista un elemento di vitale importanza nel processo evolutivo che è quello dell’esperienza nella sua globalità: le esperienze tattili e motorie rappresentano infatti il punto di partenza per la maturazione delle aree superiori di linguaggio e pensiero.
La prospettiva del rischio pone pertanto i bambini, e prima ancora gli adulti, in una condizione di straordinaria responsabilità, in quanto autori delle proprie e altrui esperienze di crescita. Responsabilità che frequentemente viene evitata o negata dagli adulti ricorrendo a divieti e prescrizioni che, nell’intenzione di proteggere, negano esperienze.
Per concludere, se da un lato possiamo avere la certezza che i bambini cresceranno comunque, anche in contesti standardizzati, con spigoli arrotondati, giochi di plastica e tappeti assorbi urto, dall’altro abbiamo il dovere di ricordare che, se l’opportunità di venire a contatto con ambienti diversi e vari, e con gli elementi e le forme di vita che ne fanno parte, viene ridotta o eliminata, viene altresì ridotta o eliminata la possibilità di acquisire alcune abilità fondamentali: quel protagonismo e quella spinta all’iniziativa, che sono i requisiti necessari alla partecipazione attiva ed alla capacità di trovare soluzioni innovative alle varie questioni che la vita sempre pone e sempre porrà.

9 giugno 2015
Dott.ssa Monica Mascarucci
Coordinamento pedagogico Area Infanzia
Il Millepiedi Coop. Sociale a r. l.

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